LA CULTURA LA FA’ CASCA’ LA DITTATURA
“La cultura la fa cascà la dittatura”.
Una frase che mi è rimasta ferma nel cervello fin dalla prima infanzia. La
diceva nonna Argelide, contadina socialista, abitava a Volongo, provincia di
Cremona, un paese dalle stesse parti di Sesto e Uniti dove è nato Sergio
Cofferati.
Erano gli anni neri della guerra:
1943,1944,1945. A Milano i bombardamenti, mio padre alla guerra in Russia, mia
madre operaia alla Innocenti ed io bambina, sfollata a casa della nonna. Libera
dalla scuola elementare mi divertivo un mondo a fare la guardiana delle oche
che menavo al pascolo fino sulle rive del Po. Non avevo assolutamente voglia di
studiare quello che si può apprendere alla scuola elementare, e quella
socialista di una nonna, con riferimento ben preciso alla dittatura
agonizzante, mi rimproverava con quella frase salutare: “la cultura la fa cascà
la dittatura”. Sono passati tanti anni da quando sentivo con frequenza quella
frase che allora mi sembrava strana ed esprimeva cose che nell’infanzia non
capivo bene. Poi, anno dopo anno, considerando gli eventi, ho capito il
profondo significato della frase della nonna: è stato tante volte così, i
dittatori sono sempre stati nemici della cultura, della libertà di cultura, ma
c’è da dire che la resistenza della cultura ha fatto sempre, seppur con
infiniti sacrifici, anche i più estremi fino al martirio, finire anche le
dittature. Tutto il Novecento insegna così. Ora nel nostro paese si attua un
progetto inquietante: tagliare – che brutto verbo, sa di ghigliottina – i fondi
statali alla cultura è, a mio modesto avviso, la cosa più insana che un governo
eletto democraticamente possa fare, a meno che la parola democrazia possa
essere interpretata in modo totalmente distorto.
Cultura vuol dire tante cose non solo
libri, non solo volumi e volumi scritti, non solo tele e tele dipinte, non solo
sculture, non solo danze; cultura vuol dire anche come sapere parlare ai
giovanissimi perché sappiano distinguere tra le cose, perché sappiano
distinguere tra chi sa fare e che non lo sa fare, cultura vuole dire rispetto
dell’ambiente, rispetto dei giovani, rispetto dei vecchi, cultura vuole dire
soprattutto un impegno serio per il futuro dei giovani che sono i più bisognosi
di cultura. Io mi appello al governo del nostro Paese, governo eletto
democraticamente, perché rifletta su quello che qualsiasi italiano di buona
volontà ha il diritto di ricevere; mi appello perché il governo abbia un
ripensamento e trovi la maniera di non togliere alla cultura i mezzi pubblici
per sopravvivere: è la necessità fondamentale per la vita morale del nostro
Paese. E vorrei che un riguardo particolare venisse rivolto al futuro delle
giovani generazioni, le più bisognose di certezze per trasformare i sogni in
qualcosa di vero. (tratto da l’Unità di Giovedì 10 Febbraio 2005)
CARLA VOLTOLINA PERTINI: COME CON LE
LEGGI FASCISTE
In tutti questi anni, mi sono attenuta
al più ristretto riserbo in ordine alle
vicende della vita politica italiana, astenendomi da qualunque intervento e
tentazione di critica. L’approvazione in prima lettura anche da parte del
Senato del testo di modifica alla Costituzione Repubblicana suscita grave
inquietudine, e mi impone di rompere senza indugio il silenzio. Le modifiche
costituzionali prefigurano, come è stato osservato da autorevoli studiosi, una
Repubblica di tipo “bonapartista”, esse riecheggiano per taluni aspetti,
aggiungono senza troppo sforzo di fantasia, le leggi fascistissime del ’25. Mi
limito ad osservare che il potenziamento delle Istituzioni di garanzia a mero
simulacro costituisce un chiaro attentato anche all’attuazione, in concreto,
della prima parte della Costituzione riferita ai diritti. E’ mia convinzione
che il testo da ultimo licenziato dal Senato contrasti con l’animo liberatorio
e democratico del Popolo Italiano, al di là delle appartenenze. Sarò pertanto
in prima fila, insieme a molti altri, per contrastare, se necessario con lo
strumento referendario, la riforma costituzionale in itinere, e per conservare
all’Italia il patrimonio politico e morale sorto dalla Resistenza a beneficio
delle future generazioni che meritano una Patria onesta, autenticamente
democratica, di esempio nel contesto internazionale. La festa del 25 aprile,
quest’anno che ricorre il 60°, assumerà un significato ulteriore e sarà il
primo appuntamento per rinnovare unitariamente, senza distinzione alcuna,
l’impegno a difesa della libertà. (tratto da l’Unità di Giovedì 24 Marzo
2005)
1° MAGGIO: FESTA DEI LAVORATORI
Anche la ricorrenza del 1° maggio è
stata nel mirino del Governo in carica. Nonostante il Presidente del Consiglio
si sia più volte autodefinito “Presidente operaio”, dalla sua maggioranza
governativa e da Lui stesso sono partite bordate contro la festa del 1° Maggio,
dichiarandola inutile, anzi proponendo di farla tornare lavorativa allo scopo
di aumentare il prodotto nazionale.
Gli arretramenti elettorali, per la
coalizione di centrodestra, che si sono susseguiti negli ultimi tre anni,
culminati con la batosta delle elezioni regionali appena trascorse, hanno
sopito l’attenzione faziosa contro il 1° Maggio.
Quindi come ogni anno bisogna guardare
con occhio disincantato la situazione contingente del mondo del lavoro per valorizzare
criticamente questa componente che ha costituito in passato un valore
determinante della vita umana, ancora oggi e che lo farà anche in futuro.
Oggi, mentre viene sbandierato
l’aumento dell’occupazione, si cerca di nascondere che grande parte di questi
posti di lavoro sono fittizi in quanto costituiti da contratti precari che
impediscono ai lavoratori di organizzare un qualsiasi futuro per sé e per
eventuali loro famiglie. Alla faccia di tante prediche sulla centralità della
famiglia.
Inoltre non possono assumere impegni
finanziari per eventuale acquisto immobiliare. Nemmeno dimenticare il lavoro
nero, il lavoro di sfruttamento minorile e/o la grave violazione delle regole
di sicurezza sul lavoro.
BUON 1° MAGGIO A TUTTI I LAVORATORI
AFFINCHE’ DIVENTI MIGLIOR FUTURO.
(g.b.r.)
PALAZZO CENI CENTRO CULTURALE? UTOPIA?
TUTT’ALTRO, POSSIBILE REALTA’.
Che
il bel Palazzo Ceni da anni di proprietà comunale abbia estremo bisogno
di intervento di restauro è fuor d’ogni dubbio. E’ fuor d’ogni dubbio anche
il fatto che dopo il restauro la nobile dimora e gli annessi abbiano a tornare
a vivere e ad assumere un ruolo di dignità quale il complesso, storicamente,
architettonicamente ed artisticamente, esprime ed esige. Dunque, quale miglior
destinazione d’uso potrebbe calzare per un siffatto complesso se non il “Centro
Culturale” del luogo. D’acchito, certamente, agli occhi di molti potrebbe
sembrare un’utopia, una chimera ma, ragionandoci un po’, guardando all’operazione
recupero con occhio lanciato in prospettiva futura si può, invece, affermare
che la destinazione d’uso predetta è tutt’altro che utopica, anzi realistica
e fattibile. Certamente serve un progetto, denaro per realizzarlo e soprattutto
volontà politica per arrivare al concreto. I presupposti per pensare a
Palazzo Ceni quale centro culturale del luogo ci sono e si chiamano: Biblioteca
comunale, Civica Raccolta d’Arte, Archivio storico, Sala civica e di rappresentanza.
Da non sottovalutare la valenza prestigiosa, anche sotto l’aspetto turistico,
che Palazzo Ceni-Centro Culturale porterebbe all’asse di grande rilievo
che va dalla Pieve Romanica alla chiesa di San Rocco; dal Parco Comunale alla
piazzetta Cavour e via Roma con i portali marmorei e i palazzi; da piazza
Vittoria con annessi e connessi alla Casa fancelliana, alla Torre Civica e
piazza Castello col Teatro comunale con prosecuzione per via Fontana, piazzetta
Isabella Arrighi e prolungamento all’Annunciata. Un percorso per valenze intrinseche
che va dal Medioevo, Romanico al Barocco passando tra Quattrocento, Cinquecento
e Seicento. Un percorso da fare invidia a molti spocchiosi centri con ben
inferiori valenze che tanto se la pretendono e che grazie ad interventi del
più smaccato kitch sono, purtroppo, sovente, eletti a modello. Gli esempi,
anche nelle vicinanze, non mancano. Palazzo Ceni nella veste di Centro
Culturale tornerebbe a vivere di quella vita animata ma discreta che è propria
dei contenitori della cultura che danno, proprio per la loro natura, anche
una incisività e un indirizzo alla crescita della qualità della vita cittadina
contemporanea e futura oltre che, naturalmente, positiva immagine, elemento
non secondario. Elementi questi tutti che attestano civiltà, carattere, rispetto
e apprezzamento.
Nel palazzo e nei suoi annessi supponibilmente senza necessità
di stravolgimenti e devastanti interventi, proprio in funzione della
disposizione degli ambienti nobili e rustici potrebbero trovare posto
interagendo sinergicamente le predette realtà ora inadeguatamente sistemate
come l’Archivio storico; decentrate come la Biblioteca comunale, sacrificate in
ambiti ormai ristretti come la Civica Raccolta d’Arte. Auspicabili quindi, come
detto, una forte decisione politica in primis e un progetto
ragionevole in seguito. Un progetto complessivo di possibile realizzazione in
piccoli lotti che portino comunque a un risultato finale omogeneo e funzionale.
Intanto, in attesa di eventuali sviluppi,
c’è già chi pensa e si sta attivando organizzativamente per mettere a punto una
serata o un ciclo di incontri sul tema con la partecipazione di esperti e
addetti ai lavori. Incontri che verranno definiti e adeguatamente pubblicizzati
a tempo debito.
(g.m.)
25 APRILE 2005
– 60° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE
LA MEMORIA DEVE
ESSERE DISTURBATA
Esempio eclatante l’omicidio
dell’Onorevole socialista Giacomo Matteotti avvenuto già nel 1924 per mano di
sicari del regime fascista appena insediato. La Sua colpa furono le arringhe
parlamentari che pronunciò a denuncia delle scorribande delle “ronde fasciste”
le quali, notte tempo aggredivano, devastavano, picchiavano e uccidevano le
persone vendicandosi anche con i loro familiari che volevano autodeterminarsi
con libertà democratica.
Nel 1929 Mussolini conclude le
trattative per stipulare il concordato fra lo Stato e la Chiesa Cattolica. Per
l’immagine, vantare di avere ripristinato i rapporti con la Chiesa dopo la
rottura conseguente alla “breccia di Porta Pia”. In realtà diventa, per il
regime fascista, lo strumento per imbonire le gerarchie vaticane, vero potere
forte, almeno intanto che il regime si consolida. In seguito, durante le
“purghe fasciste” contro i non fascisti, saranno perseguitati anche diversi
sacerdoti con la colpa di non essere accomodanti con il regime. Le reazioni
delle gerarchie ecclesiastiche rimarranno contraddittorie.
La dittatura poi coltiva il suo
consolidamento anche con il controllo dell’informazione trasformandola con ogni
mezzo in strumento di propaganda del regime per auto accreditarsi. Manca ancora
nella storiografia sul regime fascista una raccolta completa (o almeno un’ampia
antologia) degli ordini alla stampa che il governo Mussolini emanò. Già nel
1934, con l’istituzione del Sottosegretariato, venne creata una Direzione
generale della stampa italiana che si sarebbe occupata, fino alla caduta della
dittatura, delle direttive da impartire quotidianamente (e spesso più volte
nella stessa giornata) ai giornali e all’agenzia di stampa ufficiale.
Convocazioni dei direttori, veline e “suggerimenti”. Ecco come il fascismo
raccontò la guerra e nascose la crisi del regime.
Nel 1938 sull’onda dell’antisemitismo
organizzato scientificamente dal regime nazista di Hitler, anche i fascisti
italiani emulano i camerati tedeschi e promulgano la “dottrina fascista” che in
termini concreti sono le “leggi razziali”. In sostanza queste “regole”
escludono le persone di religione ebraica dalla vita sociale degli “italiani
ariani”. Agli ebrei è vietato accedere alle scuole frequentate dagli stessi
italiani non ebrei, è vietato di contrarre matrimonio misto con persone non
ebree, ecc. Insomma una totale vessazione della dignità umana. Poi si procederà
con rastrellamenti, deportazioni e sterminio, raggiungendo il culmine
dell’orrore.
Sei milioni di persone: uomini, donne,
bambini, vecchi e ammalati di religione ebraica sono stati uccisi nei campi di
sterminio nazisti provenienti dai rastrellamenti in 17 stati dell’Europa. Anche
in Italia i rastrellamenti sono avvenuti per opera dei fascisti che hanno
organizzato campi di concentramento (San Sabba, Fossoli).
Il 16 ottobre 1943 segna una delle date
più tragiche per l’Italia: furono deportati 1022 ebrei del ghetto di Roma,
prelevati dai soldati dell’esercito nazista, caricati sui camion e trasferiti
alla stazione ferroviaria dove sono stati stipati su 18 vagoni piombati, come
bestie e deportati ad Auschwitz. Solo 15 ritornarono vivi.
Fascisti e nazisti in collaborazione
uccidevano 10 civili per ogni soldato colpito. In pratica era solo un alibi in
quanto ne venivano giustiziati sommariamente molti di più. Per citarne solo
alcuni dei tanti che sono documentalmente rimasti nascosti 50 anni nell’ormai
famoso, anche se poco noto “Armadio della vergogna” scoperto presso il
Ministero della Difesa e mai aperto nell’intento di dare oblio alla memoria:
-
Sant’Anna di Stazzena (12 agosto 1944, trucidati 560 civili)
-
Marzabotto (settembre 1944, furono fucilate 1836 persone inermi)
-
Civitella Val di Chiana (giugno 1944, 200 vittime)
-
Farneta (primi di settembre 1944 eccidio di 60 anziani finiti
nella fossa comune in Lucchesia)
E tantissimi altri in un
elenco non ancora completo. Anche l’esercito italiano, nel 1943, fu abbandonato
insieme al declino del regime sempre più arrogante ma sempre più debole. Ricordare
i drammatici fatti di Cefalonia, comunque una vicenda ben nota.
Ma chi ricorda Rodi? Le cinque
giornate di Rodi (7-11 settembre 1943)? Quanti sanno della battaglia, o non
battaglia di Rodi, la perla del Dodecanneso? Della resa di 40.000 militari italiani
di fronte a soli 7.000 tedeschi? Di una maggioranza di soldati pronti a
combattere, e in più punti dell’isola già impegnati in scontri vittoriosi,
costretti a cedere le armi dal governatore Inigo Campioni, abbandonato da Roma,
incapace di decidere, freddamente raggirato dal generale tedesco Kleemann? Fu
un eccidio: 11.000 soldati annegati in mare, 10.000 internati, 200 fucilati,
150 morti di fame.
Certamente è stato importante
il contributo militare degli eserciti “alleati” nonostante le loro contraddizioni
molto utili a contrastare l’arroganza del regime.
Straordinario e determinante
il movimento popolare di resistenza organizzato nelle formazioni partigiane
che, sostanzialmente si estese a tutta l’Italia. Nel triennio 1943/1945, con la
guida di personalità di alto livello culturale, ebbero la capacità via via di
liberare zone territoriali e città. Rilevantissimo il protagonismo delle donne
nella resistenza, impegnate in attività paritarie con gli uomini. Quindi una
concreta emancipazione, considerati i tempi e l’ambiente culturale di
subalternità che aveva imposto la dittatura fascista.
Infine l’aspetto decisivo è dovuto alla
ulteriore capacità del fronte di liberazione di avere costruito le premesse
della convivenza democratica, culminata con la promulgazione della Costituzione
repubblicana che ha costituito la guida democratica per la crescita dell’Italia
durante questi 60 anni e che è tuttora attuale.
Non è solo il 60° anniversario della liberazione
dalla dittatura fascista che rende particolarmente significativo questo 25
aprile. L’occasione della ricorrenza non deve limitarsi a far ricordare i
fatti nazifascisti della tragedia vissuta e subita dalle persone che hanno
avuto la sfortuna di popolare l’Italia durante quell’interminabile ventennio.
Deve provocare, meglio ancora disturbare la nostra memoria, affinché rimanga
sveglia e attenta agli accadimenti attuali che ripropongono in diversi casi
una nuova fascistizzazione, anche se viviamo in Repubblica democratica. La
democrazia non è conquistata una volta per sempre, bensì deve essere alimentata
e rinvigorita in continuazione, altrimenti si auto estingue come è accaduto
per tutte le grandi civiltà della storia.Sempre profetica l’affermazione di
Bertold Brecht che si legge sulla lapide esposta sopra la porta del nostro
Municipio, secondo la quale il grembo da cui nacque l’orrore dittatoriale
è sempre fecondo, preceduto dall’importante esortazione alle nuove generazioni
di non disperdere lo sguardo nelle cose vacue, ma prestare molta attenzione
agli eventi della vita sociale. La democrazia non vive sull’apparenza della
luccicante superficialità che ci inebria. E’ indispensabile andare oltre la
facciata, approfondire e discernere con coraggio, onestà intellettuale e senso
di responsabilità da creduloneria e senso comune.
Cosa significa attualizzare la memoria:
1) guardare gli
avvenimenti odierni alla luce degli Atti che compiono i dirigenti della
comunità a tutti i livelli
2) non
accontentarsi della retorica rievocazione del passato, ma avere la forza di
denunciare le tendenze di nuova fascistizzazione presenti oggi.
Nei primi anni cinquanta la destra D.C.
tende una mano agli ex fascisti, potenziali alleati, per abolire la ricorrenza
del 25 aprile.
Nel 1955 lo ripropone Almirante in
occasione del 10° anniversario e oggi lo ripresenta il “Domenicale” giornale di
Marcello Dell’Utri (Forza Italia)
E’ Bettino Craxi negli anni Ottanta a
portare un nuovo attacco alla tradizione antifascista. Oggi col tentativo di
riscrivere persino i libri di testo scolastici, sponsorizzato dal Ministro
dell’Istruzione Letizia Moratti, si sta falsificando la storia.
Il Presidente del Consiglio del Governo
in carica ha sempre rifiutato di partecipare alle celebrazioni del 25 aprile,
anzi ha affermato che Mussolini tutto sommato era un bonaccione, preferendo
festeggiare Edgardo Sogno, sospetto golpista.
Il 27 gennaio scorso (giorno della
memoria) si sono tenute le celebrazioni del 60° anniversario ad AUSCHWITZ ed
essendo presenti tutti i Governi d’Europa, il nostro non ha potuto sottrarsi,
distinguendosi comunque attraverso il Ministro di Grazia e Giustizia Castelli
(Lega-Nord) il quale è stato l’unico di tutta l’Europa a rifiutarsi di
sottoscrivere la “decisione quadro per la lotta contro il razzismo e la xenofobia”.
Altrettanto significativo il caso della
proposta di legge di Alleanza Nazionale che intende dare dignità di militari a
tutti i reduci della Repubblica sociale di Salò.
I repubblichini di Salò, non avendo un
vero Governo, erano agli ordini delle SS naziste, per cui provvedevano ai
rastrellamenti degli antifascisti ed alla loro deportazione nei campi di
concentramento.
Lo scorso mese di marzo è stata
approvata da parte del Senato l’incredibile proposta di sostanziale modifica
della Costituzione.
Il Presidente emerito della Repubblica
Oscar Luigi Scalfaro, nei giorni scorsi, in riferimento alla suddetta
approvazione da parte della maggioranza governativa di destra ha dichiarato:
“Celebriamo i sessant’anni della liberazione da una dittatura e nello stesso
tempo ci presentiamo con questa concentrazione di poteri nelle mani di un uomo
solo? E’ follia… possibile che non abbiamo imparato nulla? Questa così chiamata
riforma, “mortifica il Parlamento, il Capo dello Stato e partorisce un primo
ministro onnipotente”. Ma onnipotenza e democrazia non possono coesistere.
(g.b.r.)
L’ASILO
NIDO "Latte e miele" di Medole situato nei locali adiacenti alla
Biblioteca nello stabile gestito dalla Fondazione Onlus Isabella Arrighi,
compirà due anni il prossimo autunno.
Il progetto è nato da un’intraprendente
iniziativa di Samanta Giuliano, una ragazza decisa con una innata propensione a
stare con i bambini con i quali, grazie alla sua dolcezza e alla sua
sensibilità riesce ad instaurare uno spontaneo e immediato rapporto di intesa e
fiducia; è stato fortemente sostenuto dalla precedente Amministrazione
Ruzzenenti che l’ha subito colto come un’opportunità per portare avanti
quell’attenzione verso la famiglia, sempre presente nel proprio programma,
intesa non come mera retorica, ma come sostegno e aiuto concreto, ed è
diventato una realtà irrinunciabile per la comunità Medolese.
Grazie all’Asilo Nido le famiglie, e in
particolare le mamme, sono in grado di riprendere e proseguire i loro impegni
lavorativi in tutta tranquillità, potendo affidare i bambini a personale
qualificato e competente.
L’organico del Nido è, infatti,
costituito da educatori con specifici compiti di programmazione delle attività,
di gestione di momenti di vita quotidiana e organizzazione degli spazi ludico-creativi,
con il duplice compito di affiancare le famiglie nell’educazione dei propri
figli e di fungere da modello di riferimento per i bambini i quali attraverso
i diversi laboratori e le esperienze proposte con una costante stimolazione,
crescono seguendo percorsi equilibrati di socializzazione secondo principi
di eguaglianza, di integrazione e di rispetto delle diversità. A testimonianza
dell’importanza del servizio e del favore che questo incontra presso le famiglie,
vi è una nutrita lista d’attesa che, però, è molto difficile evadere a causa
dell'esiguità degli spazi e dei vincoli strutturali; attualmente, infatti,
i locali possono accogliere fino ad un massimo di dieci bambini in compresenza,
da uno a tre anni, con accesso al servizio in diverse fasce orarie sia part-time
che a tempo pieno e con la possibilità di usufruire del pranzo tramite l’acquisto
di buoni pasto
Ma le richieste sono in aumento ed è urgente
la necessità di spazi più ampi; per far fronte a questa esigenza, l’Asilo,
in stretta collaborazione con la Fondazione Arrighi, si sta seriamente impegnando
affinché la struttura, non solo continui ad esistere, ma abbia anche la possibilità
di ampliarsi; a tal fine si stanno valutando diverse proposte tra le quali
la più auspicabile è senz’altro il trasferimento della sede del Nido nei locali
di prossima ristrutturazione dello stabile “Cascina Porta Rossa” gestito appunto
dalla Fondazione.
Esiste già un progetto in tal senso che
prevede spazi idonei ad ospitare 16 bambini senza tuttavia escludere la possibilità
di portare il numero a 20 e riuscire quindi a raggiungere l’obiettivo di
raddoppiare l’offerta rispetto ad oggi.
E’ stata formulata anche la proposta
del “nido-famiglia”, cioè una forma di organizzazione familiare autogestita
dalle famiglie utenti, che utilizzerebbero gli spazi messi a disposizione nella
propria casa dalla famiglia ospite. Le differenze tra asilo nido e nido
famiglia sono molteplici ed evidenti.
-
In primo luogo, l’Asilo nido è una vera e propria istituzione
educativa dove è indispensabile la presenza di figure professionali che
interagiscono con i bambini, facendo attenzione ai loro bisogni e alle loro
continue evoluzioni, tenendo conto di tutti gli aspetti del loro sviluppo:
linguaggio verbale e non verbale, manipolazione, autonomia, socializzazione,
sviluppo psico-motorio; a tal fine, l’educatore è costantemente propositivo e
impegnato nella ricerca degli strumenti e dei metodi più adatti e coinvolgenti;
nel nido famiglia invece non è richiesta una figura particolare e questo, senza
nulla togliere all’operato della persona che si prende cura dei piccoli, riduce
comunque la qualità del servizio perché vengono a mancare la preparazione, la
competenza e la disponibilità di tempo di persone che vengono formate
appositamente per svolgere al meglio questo compito;
-
Nel nido-famiglia il bambino passa dal suo ad un altro ambiente
altrettanto familiare con il serio rischio, essendo molto piccolo, che si venga
a creare in lui una certa confusione e sovrapposizione di ruoli con conseguente
difficoltà di distinzione tra le sue ed altre figure genitoriali;
-
Gli spazi: in un asilo nido vengono appositamente studiati ed
arredati in modo speciale, per soddisfare le esigenze delle proporzioni e delle
capacità infantili, sia per quanto riguarda il gioco e le varie esperienze sia
per le normali funzioni quotidiane, cosa impossibile in una normale abitazione.
-
L’aspetto igienico-sanitario: l’asilo nido, a differenza del
nido-famiglia, è soggetto a periodici e costanti controlli da parte dell’Asl al
fine di garantire ai bambini e alle loro famiglie la massima salvaguardia in
tal senso.
-
La capacità di accoglienza: il nido famiglia può ospitare fino ad
un massimo di 7 bambini, quindi per risolvere il problema lista di attesa
servirebbe la disponibilità di diverse famiglie.
Queste riflessioni nascono,
oltre che da considerazioni oggettive, anche dalla mia personale esperienza;
sono infatti, educatrice e faccio parte dell’organico del Nido. E’ un lavoro
che mi appassiona molto perché i bambini di questa età sono semplicemente
meravigliosi; in questi primi anni di vita fanno grandi conquiste ed è
bellissimo partecipare all’emozione dei loro primi passi, delle prime parole,
dei loro primi piccoli discorsi.
Poter collaborare con l’azione
educativa della famiglia, aiutare i bambini a socializzare con altri bambini e
con adulti diversi dai genitori, capirli e incoraggiarli nel loro processo di
crescita al fine di garantire loro uno sviluppo equilibrato e sereno è una
grossa responsabilità, ma è davvero molto gratificante.
Ed è per tutte queste ragioni
che confido che la scelta finale sarà quella di mantenere e potenziare una
preziosa realtà quale è l’asilo nido abbandonando definitivamente l’idea di
optare per una struttura di fortuna come può essere il nido famiglia.
(g.r.)
La voce servizi sociali nel
contesto dell’operosità di una amministrazione rappresenta un “Punto di Forza”
importantissimo. Un servizio rivolto soprattutto a fasce delicate della cittadinanza,
un servizio, pertanto, che richiede particolare attenzione, sensibilità e
conoscenza del tessuto sociale locale. Un servizio che in passato ha goduto
di un occhio di particolare riguardo e riscosso gradimento. Un pregio che,
fin da vetusta datazione ha messo Medole in una posizione d’avanguardia di
rispetto e sovente eretto a modello, imitato da più di una comunità del circondario
e non solo. Il buon esito riconosciuto del lavoro svolto dell’Assessorato
che ha curato i servizi sociali in passato è dipeso anche da due organi collaborativi
il cui operato ha positivamente inciso sulla bontà del servizio: La “Commissione”
e la “consulta” dei servizi sociali. Commissione e consulta oggi non più attive
automaticamente e disattivate dal giugno 2004 dopo le elezioni amministrative
e il cambio della compagine amministrativa comunale. La Commissione era formata
da diversi elementi e cioè: dai componenti del direttivo del Civico Ospedale
Ricovero Vecchi, da due rappresentanti della maggioranza, sindaco e assessore
alla partita e un rappresentante della minoranza. Affiancava la Commissione
anche la Consulta composta dai rappresentanti sindacali dei pensionati e della
Caritas e Anspi locali.
La Commissione e la Consulta,
non obbligatorie, ma evidentemente utili, si facevano carico di segnalare e di
indicare casi che avessero bisogno di sostegno materiale, morale e non solo.
I preposti del Comune e della
Commissione e della Consulta provvedevano sinergicamente a mantenere un elevato
standard di tutti i servizi non dimenticando, doverosamente, il contatto con il
mondo degli immigrati; una realtà che si fa sempre più pregnante e quindi
meritevole di grande considerazione.
Chi ha a cuore il problema dei
servizi sociali ha invocato nel corso dell’ultimo consiglio comunale la
ricostituzione della Commissione e della Consulta. Chi ha a cuore la complessa
questione dei servizi sociali avverte inoltre la necessità di incrementare la
potenzialità dell’asilo nido che ha a registro una consistente lista di attesa.
(p.m.)-(i.c)
ALLETTANTE INVITO AL TURISMO
UNA
PASSEGGIATA IN CAMPAGNA
Non sempre mi capita di vedere
in televisione un programma interessante: di questi tempi è più probabile
trovare a chiedersi se non sia meglio fare dell’altro che stare a sentire
gente che ti spiega che va tutto bene oppure esattamente il contrario… I documentari
sulla natura o i reportage di viaggio mi sembrano molto più credibili e soprattutto
rilassanti! Mi piace questo pianeta, i suoi abitanti e i suoi colori, scoprire
che esistono ancora luoghi vitali, non modellati dalle leggi dell’economia
e della finanza.
Quando esco di casa cerco
questi posti, tra un capannone e un appezzamento di terra completamente
diserbato… voi non ci crederete ma… ci sono! Certo, niente foreste o scenari
mozzafiato: d’altra parte vi assicuro che la natura sa esprimersi in tutta la
sua bellezza anche nelle cose semplici, dimenticate o, più spesso,
distrattamente maltrattate.
Un prato in collina, con la
vegetazione che in questa stagione riprende vigore, ci piace molto, trasmette
serenità! Peccato che qualche idiota, dopo aver trovato “il bel posticino…” ci
ha lasciato bottiglie e piatti di plastica.
Una torbiera con ninfee e rane
è l’ideale per una passeggiata da pensionato o per il romantico pomeriggio di
due morosi. Purtroppo un “ristrutturatore” sensibile all’ordine ci ha scaricato
mattoni, ceramiche, calcinacci e, già che c’era, anche la lavatrice…
Credo che il degrado
ambientale non sia solo e semplicemente l’inevitabile prezzo da pagare per il
benessere economico di cui (non so per quanto ancora) godiamo. Penso sia una
questione culturale, che dipenda dalla volontà di garantire a se stessi a e
agli altri una decente qualità della vita.
Sono convinto che le piccole
cose (una pista ciclabile, un viale alberato…) possono dare il segno di questa
volontà e che molti cittadini saprebbero apprezzarne il beneficio.
Poco lontano da una splendida Pieve romantica in territorio di Carpendolo, in
località “Taglie”, da un bel fontanile, esempio di come l’uomo sapesse intervenire
sulla natura con discrezione e buongusto, nasce la Seriola Piubega.
Si tratta di un corso d’acqua
di pianura che prende origine dalle risorgive che in tutta la valle del Po
segnano il confine tra l’Alta e la Media Pianura . Molti secoli fa l’uomo
ha imparato a bonificare i terreni paludosi: la gestione delle acque superficiali
ha permesso la realizzazione di canali irrigui, utili anche ad azionare mulini
ed altri opifici.
La Seriola Piubega passa da
Carpendolo a Castiglione d/S ed infine entra in Comune di Medole a Nord Ovest
della Colla. Le sue acque sono pulitissime: le piante acquatiche verdi e “grasse”
sul fondo ghiaioso sono particolarmente rigogliose. Il fiume dopo essere passato
di fianco alla cappella dei Morti di San Vito, sulla strada per l’Annunciata,
segue l’alveo naturale e, dopo aver oltrepassato il Canale Virgilio, fluisce
in direzione di Sant’Anna di Castel Goffredo.
Alcuni tratti del fiume, come
quello a valle del paese, sono particolarmente suggestivi per la presenza di
alberi d’alto fusto e arbusti: tra sambuchi e biancospini mi capita spesso di
vedere il martin pescatore oppure anatre selvatiche, gallinelle e rapaci a
testimoniare un ambiente naturale sano e vitale.
Tutto ciò non può essere
trascurato perché è un bene della collettività al pari della Torre civica e
della Pieve. Soprattutto i bambini e i ragazzi devono potersene riappropriare
in completa sicurezza: da tempo, ormai, gli ambienti naturali sono percepiti
più come “terra di nessuno” che come spazio da conoscere ed esplorare. La
realizzazione di un percorso ciclabile (o podistico) caratterizzato e gestito
in collaborazione tra agricoltori, associazioni (penso alla Pro-loco, ma non
solo), Scuole ed Amministrazione potrebbe consentire di fermare il progressivo
degrado, il taglio non compensato da nuove piantumazioni o, peggio,
l’eliminazione delle ceppaie, l’utilizzo delle rive come deposito di rottami e
calcinacci…
Da cosa nasce cosa e si
potrebbe giungere a immaginare di estendere il progetto coinvolgendo comunità
ed amministrazioni vicine!
E’ un sogno? Si, ma dopotutto
credo sia legittimo sognare. Se saremo in molti a farlo forse un giorno lungo
la Seriola ci saranno dei bambini a pescare e degli anziani signori che leggono
il giornale o raccolgono luertis…
(c.d.)
MADONNINA.
COME SARA’?
Cara, vetusta, suggestiva
Madonnina, radice dell’albero di nostra storia, quale triste storia ti
riserverà il “progresso”? E’ quanto si chiedono molti medolesi. Per ora c’è di
certo che il piccone già due volte ti ha colpito: l’ultima recentemente. Lì
dov’eri c’è un vuoto desolante che aspetta d’essere colmato. Ma come?
Nei
giorni scorsi, all’incrocio, poco discosto dal luogo dov’era la Madonnina
un anziano capomastro mi ferma, mi guarda, volge lo sguardo alla cappelletta
che fu e con gli occhi lucidi, riguardandomi, tace. Un silenzio allusivo,
mesto. Poi dice: “ghet vest cus’i ga fat”. Rispondo: è il progresso. L’anziano
muratore allarga sconfortato le braccia e attacca: “a pensà che ‘ndel istà
del milonöfsentsinquantoquater, se me sbaglie mio, me, Giüsèpe, con Vitorio,
Mario e l’ater Giüsèpe gom fat isè fadigö a bater so chèlö èciö e fa
sö chèlo nöo che ades la ghe pö. L’è stat en trabülere, i mèsi dè alurö
iè miö chèi del dè d’encö, ma, pö o men, som riisic con la diresiù del sior
geometro a falö sö come chèlö èciö, en po’ pö grandinö, ma robe dè poch, col
rispet de chèlö che ghèrö e de chel che la cesulinö la rapresentö”. Giuseppe
allarga le braccia e se ne va silenzioso, scuote il capo, fa un cenno di saluto
ma si avverte che ha il groppo in gola.
“Ades che farai?”. E’
l’interrogativo. C’è da sperare che oggi come ieri prevalga il buon senso e il
rispetto al quale alludeva l’anziano capomastro, e si proceda senza
stravolgimento. Se in alcuni casi il segno dei tempi è necessario, certamente
questo della ricostruzione della Madonnina non si presta al gioco di pesanti
interventi, sovente a rischio di mala riuscita, scusati da adeguamenti alle
nuove esigenze. Risalire alla funzione d’origine della costruzione sulla quale
si deve intervenire, o da rifare, è un punto fermo sul quale fondare
l’operazione ricordando che noi e gli edifici, piccoli o grandi che siano,
sacri o meno che siano, siamo figli di una storia che ci attraversa e che ha
testimoniato i modi del quotidiano che ci hanno dato un’identità: la nostra
identità, quella medolese nella fattispecie. L’alterazione dell’ambiente, già
devastante per effetto della necessità viaria, non va accentuata anche dove è
possibile mantenere ciò che resta del circostante contesto con il quale
l’edificio è sempre stato in simbiosi: le testimonianze pittoriche e
fotografiche ce lo suggeriscono. La presenza di documenti testimoniali ci
dicono come sia necessario ricostruire senza la pretesa di trasformazioni. Trasformazioni
equivalenti alla cancellazione di ciò che nel ricordo resta dell’esistente
stesso, già fin troppo manipolato sotto le spinte della necessità del progresso
(ma sarà poi veramente progresso?). In conclusione, si fa urgente l’appello a
non cancellare, a “non perdere quel patrimonio di cultura e tradizione che è fondamentale componente del nostro
passato e del quale, noi, oggi, siamo il risultato”. Tagliare, stravolgere,
manipolare ancora una volta quella radice dell’albero di nostra storia che è la
Madonnina vuol dire assumersi delle pesanti responsabilità.
(g.m.)
E ora tocca a voi
E ora tocca a voi battervi
gioventù del mondo; siate intransigenti sul dovere di amare. Ridete di coloro
che vi parleranno di prudenza, di convenienza, che vi consiglieranno di
mantenere il giusto equilibrio.
La più grande disgrazia che vi possa
capitare è di non essere utili a nessuno, e che la vostra vita non serva a
niente.
Raoul Follerau